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Carnevale Barbaricino in Sardegna: le antiche tradizioni del folklore sardo

I comuni della Barbagia, regione montuosa della Sardegna, da secoli portano avanti delle tradizioni carnevalesche che sono rimaste immutate. Protagoniste sono maschere inquietanti e personaggi grotteschi che portano scompiglio tra la folla. Ma tutto all’insegna dell’allegria.
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Carnevale Barbaricino in Sardegna

Carnevale di Mamoiada | Orotelli | Ottana | Fonni | Lula | Olzai | Ovodda

Per cultura e tradizioni, la Sardegna è sempre stata vista quasi come un mondo a parte rispetto al resto del nostro paese. Non poteva essere diversamente anche per quanto riguarda i festeggiamenti di Carnevale. Mentre nel resto d'Italia la festa è strettamente legata alla liturgia cattolica, in Sardegna non ha perso le sue radici più antiche. E viene celebrata oggi come secoli fa secondo precisi rituali che si rifanno a una cultura agricola e pastorale. I Carnevali in Sardegna sono numerosi, molti con specifiche identità che li hanno resi particolarmente popolari, come la Sartiglia di Oristano. Ma, all'interno stesso della regione, c'è una zona in particolare i cui comuni festeggiano il Carnevale con tradizioni molto simili tra di loro, e tutte legate da un filo comune. Quest'area della Sardegna si chiama Barbagia, una vasta regione montuosa che si sviluppa lungo i fianchi del massiccio del Gennargentu.

Carnevale Barbaricino è un termine che lega i festeggiamenti di tanti piccoli comuni: da Mamoiada a Ottone, da Orotelli a Fonni e tanti altri. Troppi da elencare tutti ma, come dicevamo, tutti uniti da un preciso legame: una tradizione antica che risale a secoli addietro l'avvento del cristianesimo e che si perpetua ancora oggi. Come ben sappiamo, tutte le festività religiose cristiane non sono nient'altro che una conversione di riti pagani pre-esistenti che venne attuata per facilitare il passaggio da una tradizione all'altra. Questi riti non celebrano solo antiche divinità, ma il ciclo di morte e rinascita della natura: in pratica la fine dell'inverno e l'inizio della stagione agricola. Grazie all'isolamento dei paesi della Barbagia, confinati tra le montagne, le varie tradizioni si sono preservate pressoché immutate nel corso dei secoli. Proprio per questo motivo, si sono anche perse le tracce sulle loro origini, e sono numerose le teorie in proposito. Ma è ben evidente che le loro radici affondano nelle attività quotidiane di comunità pastorali e nelle loro credenze.

Non è un caso che i festeggiamenti del Carnevale in questi piccoli comuni vedono sfilare numerose maschere che rappresentano contadini e animali. Questi personaggi appaiono sempre per la prima volta il giorno della festa di Sant'Antonio, il 17 gennaio, o il giorno prima. Ritorneranno poi dalla Domenica di Quinquagesima al Martedì Grasso, quindi per le date del Carnevale 2014 dal 7 al 9 febbraio: questo periodo in Sardegna è conosciuto come Karrasegare. I personaggi sono spesso figure dall'aspetto cupo e grottesco: alcuni indossano maschere in legno annerite col fuoco, altri invece si dipingono il volto di nero. Alcuni indossano delle semplici tuniche, altri invece delle pelli di capra. Anche i nomi sono molto diversi tra loro, come vedremo. Tutti questi personaggi sfilano per le vie del paese secondo una processione che sembra quasi religiosa, ma non mancano di interagire con il pubblico.

Foto di Marco Alioli
Foto di Marco Alioli

Il Carnevale di Mamoiada

È tra i più popolari del folklore barbaricino. Protagonisti sono le maschere dei Mamutones e degli Issohadores. I primi sono vestiti di pelli di pecora, indossano una maschera nera e portano sulla schiena una serie di campanacci del peso di almeno 30 kg: avanzando nella loro processione danno un colpo di spalla per farli suonare tutti. I Mamutones sono dodici, come i mesi dell'anno, e si pongono in due file. Gli otto Issohadores li affiancano nel cammino: questi sono vestiti con una giubba rossa, una camicia di lino, pantaloni bianchi e uno scialle femminile. Alcuni indossano una maschera bianca. Tutti hanno una soha, la fune con cui a un certo punto catturano gli astanti: questi, per liberarsi, devono offrire loro da bere. Il rito della cattura è presenti in molti carnevali barbaricini e richiama ad antichi rituali propiziatori di fertilità.

Nel Carnevale di Orotelli

Qui il rimando alla tradizione pastorale è molto più evidente. Sos Thurpos (letteralmente, gli storpi) è un nome generico che indica varie figure. Su Thurpu Voinarzu (il contadino) deve governare i testardi Thurpos Boes (i buoi), mentre altri Thurpos seminano lungo il cammino, e Su Thurpu Vrailarzu è il fabbro che ferra i buoi. Tutti indossano un vestito di velluto e dei gambali di cuoio, un pastrano, hanno il volto ricoperto di fuliggine e indossano dei campanacci: questi ultimi, assieme al viso scoperto e annerito, servono per allontanare gli spiriti maligni. Il rito della cattura (sa tenta) spesso è rivolto verso i ricchi e i potenti del paese, che dovranno offrire da bere: ritroviamo l'antica tradizione carnascialesca del rovesciamento dei ruoli, dove i servi possono avere la rivincita sui loro padroni. Il Martedì Grasso saranno però i Thurpos a offrire da bere alla gente del paese, e coinvolgeranno tutti nelle loro danze.

Foto di Alice
Foto di Alice

Il Carnevale di Ottana

Ha come protagoniste delle maschere il cui nome è molto esplicito: Sos Merdùles (i contadini) e Sos Boes (i buoi). A queste si affiancano Sos Porcos e Sos Molentes (maiali e asini) e, più rare, Su cherbu (il cervo) e Su Crappolu (il capriolo). Vengono riprodotti tutti i rituali della pastorizia: dall'aratura al raccolto, mentre gli animali vengono domati e curati. Le maschere dei Merdùles rappresentano un volto distorto, forse dalla fatica dei campi, e procedono curve con passo stanco, lamentandosi della loro sorte. I buoi indossano delle maschere di legno con sembianze bovine e dotate di corna, e pelli di animali dotate di campanacci. Sono legate ai Merdùles da redini, e ogni tanto tentano una ribellione, ma sono prontamente domate.

Foto di Alice
Foto di Alice

Il Carnevale di Fonni

È la rappresentazione vera e propria del dominio dell'uomo sulla natura. L'animale qui è infatti S'Urthu, l'orso, tenuto a bada con delle catene dai Sos Battudos. Non è facile in realtà domarlo: l'orso crea scompiglio tra la gente, si arrampica dappertutto, aggredisce i passanti e si avventa soprattutto sulle donne, mentre gli uomini tentano di domarlo. Oltre a questi personaggi ci sono anche le Mascaras Limpias, impersonate sia da uomini che da donne: esse rappresentano la bellezza e l'eleganza, e indossano vestiti tradizionali femminili con un velo che ricopre il viso. A fare da loro garante c'è Su Portadore, che fa in modo che non si riconosca il loro sesso. Le maschere sono accompagnate da suonatori d'organetti e si esibiscono in balli lungo le vie del paese, eseguendo in particolar modo la danza fonnese.

Il Carnevale di Lula

È quello in cui è più evidente il richiamo ai riti pagani, in special modo nella rappresentazione della morte del dio Dioniso e della sua rinascita, portatrice dell'energia che rende fertile la terra e ne fa maturare i frutti. Protagonista è la spaventosa maschera di Su Battileddu, letteralmente la vittima. Vestito di pelli di montone, il volto sporco di fuliggine e sangue, ha in testa un fazzoletto femminile e delle corna di capra, bue o cervo, e sopra di esse uno stomaco di capra. Sul corpo reca dei campanacci e tra di essi è nascosto uno stomaco di bue ripieno di sangue e acqua, che ogni tanto viene punzonato per far fuoriuscire il liquido e fertilizzare i campi. La vittima è seguita dai Battileddos Gattias, uomini vestiti da vedove che intonano canti in suo onore. A seguire vi sono i Battileddos Massajos: i custodi del bestiame percuotono la vittima e la bloccano mentre gli spettatori le bucano lo stomaco, imbrattandosi del sangue che ne fuoriesce. Alla fine Su Battileddu muore, sotto i lamenti delle vedove che lo piangono. Ma ritorna in vita con un bicchiere di vino, posto su un carro e portato in processione: da questo momento comincia la festa.

Foto di Gianni Careddu

Il Carnevale di Olzai

A differenza degli altri, questa festa prosegue nel periodo di Quaresima arrivando fino alla domenica successiva al Martedì Grasso. Le maschere protagoniste sono tre. Sos Murronarzos una volta indossavano veri e propri musi di porco o cinghiale, in seguito sostituiti con delle maschere di legno. Sos Intinos appaiono il Mercoledì delle Ceneri e sono infatti uomini vestiti da donne a lutto per la morte del Carnevale. Sos Maimones, mezzi uomini e mezze donne, con quattro braccia, quattro gambe e due teste, che rappresentano la fertilità umana. Quest'ultima maschera la ritroviamo in molti altri carnevali barbaricini (come a Sarule o a Lodè), impiegati in diversi atteggiamenti, tutti risalenti però all'antica tradizione pagana di celebrare la morte della vegetazione (impersonificata nel dio Dioniso Maimone) e la sua rinascita per la nuova stagione. Ad Olzai c'è una partecipazione spontanea e attiva della popolazione, impegnata in danze che esorcizzano le ansie e la paura del male, in particolar modo la carestia. Le figure mascherate stesse entrano nelle case della gente, accompagnata da Su Portedore, l'unico personaggio a volto scoperto che garantisce per il comportamento degli altri.

Foto di Cristiano Cani

Il Carnevale di Ovodda

Si differenzia dagli altri carnevali barbaricini per vari motivi. Il primo, e più importante, è che si celebra il Mercoledì delle Ceneri (Mehuris de Lessia). Protagonista è il fantoccio di Don Conte, un pupazzo ridicolo fatto di sugheri e stracci e adornato di pelli e ortaggi, che viene trascinato su un carretto lungo le vie del paese. Il percorso è totalmente improvvisato, e chiunque può partecipare alla processione senza essere un semplice spettatore. Il corteo è accompagnato da Sos Intinos, vestiti di stracci e abiti vecchi, ma anche con pastrani, gambali e vestiti di velluto come i pastori della Barbagia. Il loro volto è annerito dallo zinziveddu, la polvere di sughero bruciato, che essi stessi usano per imbrattare i visi di chi vuole unirsi al corteo. Un momento di totale anarchia che caratterizza il carnevale, non organizzato da nessuna associazione. A questo si aggiunge la questa spontanea, la raccolta di cibo di casa in casa. Alla fine della processione si arriva in piazza dove è allestito un ricco banchetto, al quale tutti partecipano. Al tramonto Don Conte viene giustiziato, bruciato e buttato lungo una scarpata. Sembra che questa tradizione nasca da un episodio di rivolta popolare nei confronti di un signorotto realmente esistito, Don Conte appunto, che spadroneggiava nella zona. Anche il volto annerito in questo caso non è un rito apotropaico per scacciare gli spiriti maligni, ma ricorda i ribelli del periodo della dominazione spagnola, che si mimetizzavano nel buio. Da notare comunque che in moltissimi Carnevali d'Italia vi è la tradizione di un fantoccio che personifica la festa e che viene bruciato al termine della giornata per decretarne la fine, ristabilendo poi l'ordine delle cose.

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