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Le isole perdute della laguna di Venezia

La laguna di Venezia nasconde numerose isole poco conosciute: visitarle è possibile, alcune con i mezzi convenzionali, altri grazie alla conoscenza con i pescatori del luogo. E tra fantasmi e suore libertine c’è sempre una storia interessante da scoprire…
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Una visita a Venezia non può mai dirsi completa senza il canonico giro in barca tra le altre isole della laguna: Murano, Burano e Torcello. Ma queste sono solo la punta dell'iceberg di quello che può essere considerato un vero e proprio mini arcipelago. La laguna di Venezia racchiude infatti un numero imprecisato di isole grandi e piccole (non numerabili effettivamente in quanto la città di Venezia stessa sorge su 112 isolette collegate dai canali). Alcune di queste sono dei comuni a sé, altre contengono i resti di costruzioni fortificate dell'era napoleonica. E altre ancora hanno una storia ricca e interessante alle spalle, che purtroppo nella maggioranza dei casi le ha viste cadere in rovina. Sono le isole perdute della laguna di Venezia e, ispirati da un vecchio articolo di Departure, a sua volta tratto dal lavoro di indagine dei fratelli Giorgio e Maurizio Crovato, ve ne riportiamo qualche esempio. Se mai vi recaste a Venezia per il Carnevale, potrebbe essere interessante approfittare dei giorni di vacanza per un itinerario fuori dal comune.

San Giorgio in Alga, l'isola dello splendore che fu

L'isola prende questo nome così particolare dal fatto che è letteralmente circondata dalle alghe. Fu colonizzata nel XIII secolo da monaci benedettini, ma nel giro di poco divenne una popolare stazione di passaggio tra Venezia e la terraferma. Durante il Rinascimento fu un importante centro per l'umanesimo con una vasta biblioteca. Le stampe del XII e del XVIII secolo raffigurano un monastero, una chiesa maggiore e vari palazzi. E ambasciatori e dignitari stranieri facevano sosta qui prima del loro ingresso a Venezia. Una grande cerimonia nel 1782 vide il Doge Renier accogliere papa Pio VI.

San Giorgio in Alga

Di quest'epoca di grande splendore oggi rimangono solo delle rovine dal fascino antico: passaggi a volta, archi di marmo e scale che non conducono a niente. Il tutto avvolto da una fotta boscaglia di spesse erbacce, popolata oggi da anatre e piccioni che dominano incontrastati dove un tempo facevano la loro bella figura nobili e personaggi di spicco. E non solo: perché l'isola ha visto anche la presenza umana nella forma della dominazione tedesca: di quest'ultima ci è rimasta un enorme bunker anti-aereo.

Sant'Angelo della Polvere, l'isola del peccato

Il regno animale qui vede la predominanza delle volpoche: una particolare specie di anatre che prendono il loro nome dal fatto che utilizzano le vecchie tane di volpi per deporre le loro uova. L'isola è anche il rifugio dove si accoppiano questi palmipedi, così facendo portando avanti una tradizione di vecchia data. Sant'Angelo della Polvere infatti era conosciuta per un vecchio convento dalla dubbia moralità. I pescatori di ritorno verso casa dal mercato di Rialto usavano fermarsi qua e spendere parte dei propri guadagni intrattenendosi con le suore. La cosa però sfuggì di mano: nel 1500 le autorità veneziane, allertate dalle mogli dei pescatori, mandarono delle truppe per cacciare le suore promiscue, che furono poi portate nell'isola di Giudecca, più vicine alla città.

Sant'Angelo della Polvere

Nel XVI secolo la Repubblica trasformò l'isola in un deposito di polveri da sparo (da cui il nome), e costruì una fortezza per proteggerla. Ma il depositò saltò in aria quando venne colpito da un fulmine nel 1689. Gli austriaci costruirono una nuova struttura militare nel XIX secolo e fecero in modo di proteggere i magazzini delle polveri con un'armatura a prova di fulmine. Nonostante il tetto sia successivamente crollato, l'edificio resiste ancora oggi.

Lazzaretto Nuovo, l'isola della quarantena felice

Un tempo ricoperta di vigneti e orchidee, l'isola fu poi reclamata dalla Repubblica nel 1478 e convertita in un centro di prevenzione dalla diffusione della peste: alberi e piante vennero tagliati, perché portatori di germi, e le strade pavimentate. Tutte le navi mercantili dovevano approdare qui prima di entrare a Venezia. Tonnellate di merci, per lo più spezie e tessuti dall'Oriente, venivano scaricate e immagazzinate nel Tezon Grande: un'enorme struttura in mattoni alta più di 100 metri con delle grandi aperture ad archi sui lati da dove le merci venivano portate fuori ogni giorno per essere ventilate. La geniale intuizione veneziana fu successivamente d'esempio per il resto del mondo.

Isola di Lazzaretto Nuovo

Nel frattempo l'equipaggio rimaneva relegato nell'isola per 40 giorni. Una felice prigionia: i marinari venivano sistemati tutti in abitazioni dotate di bagno, cucina ed altre comodità che erano un lusso straordinario per l'epoca. L'isola era costantemente popolata da migliaia di persone e la Repubblica si assicurava che queste avessero tutto quello di cui avevano bisogno e che il cibo fosse soddisfacente. Tale benevolenza serviva per fare sì che marinai e mercanti acconsentissero senza problemi alla quarantena: anzi, in realtà non vedevano l'ora, dopo mesi passati in mare in condizioni terribili. Se però i dottori che ispezionavano regolarmente gli isolani trovavano segni di peste, gli ammalati venivano immediatamente trasferiti nell'isola di Lazzaretto Vecchio, e mandati lì a morire.

Dopo la caduta della Repubblica Lazzaretto Nuovo fu utilizzata come avamposto militare, prima dai francesi, poi dagli austriaci, e infine abbandonata. Cadde in un lungo periodo di abbandono durante il quale la natura ne rivendicò il possesso ricoprendola di vegetazione. In seguito fu oggetto di una radicale opera di restauro, ed è anzi una delle poche isole abbandonate della laguna veneziana a essere stata completamente recuperata: oggi è aperta al pubblico e accoglie 15.000 visitatori l'anno.

Poveglia, l'isola dei fantasmi

Anche Poveglia fu utilizzata per lungo periodo come stazione di quarantena, ma a differenza di Lazzaretto Nuovo non aveva una fama di luogo per vacanze. Anzi, le leggende dei navigatori volevano che chi si avvicinasse all'isola potesse sentire i lamenti degli ammalati. Eppure, prima di cadere in quello stato di disperazione, Poveglia fu un'isola felice e potente che ha prosperato per almeno quattro secoli. Durante il X secolo contava centinaia di abitanti, e dei lussureggianti vigneti crescevano attorno alla chiesa di San Vitale. L'isola ottenne anche una certa autonomia dalla Repubblica e vari privilegi, tra i quali anche quello di alcuni suoi rappresentanti di poter baciare il Doge sulla bocca una volta all'anno.

Poveglia

Ma quando l'armata genovese minacciò la laguna di Venezia durante la guerra del 1379-81 gli abitanti di Poveglia vennero trasferiti a Venezia. Pochi tornarono dopo la guerra, e nel 1527 c'erano solo 8 abitanti sull'isola. Durante il suo dominio, Napoleone fece abbattere la chiesa. Ma è la storia recente che ha regalato all'isola la sua fama: nel XX secolo fu infatti utilizzata per ospitarvi una casa di cura per malati di mente. L'ospedale chiuse i battenti nel 1968 e da allora l'isola è piombata nel degrado, diventano off-limits per i visitatori. E alimentando così storie orrorifiche, come quella del dottore che torturava i suoi pazienti a morte. E i cui fantasmi oggi si aggirerebbero ancora tra le rovine dell'istituto.

San Francesco del Deserto, l'isola della meditazione

Quest'isola non rientra completamente nel titolo delle isole perdute in quanto oggi non è abbandonata. La sua popolazione è costituita però solo da pochi monaci. L'isola è infatti luogo di un monastero fondato da San Francesco d'Assisi nel 1220: di ritorno dall'Egitto su una nave veneziana, il santo si rifugiò qui in cerca di un posto isolato dove pregare. Costruì quindi una capanna vicino ai resti di una vecchia cappella bizantina. San Francesco se ne andò due mesi dopo ma il padrone dell'isola, un patrizio veneziano di nome Jacopo Michiel, fece costruire una piccola chiesa sulla capanna del santo. Nel 1233 la donò all'Ordine Francescano, e da allora diventò un importante luogo di devozione.

San Francesco del Deserto

Nel 1810 Napoleone cacciò i monaci e trasformò l'isola in una base militare. In seguito divenne una polveriera sotto la dominazione austriaca, ma l'imperatore Francesco Giuseppe, in luna di miele, decise di restituirla alla Diocesi di Venezia. Così l'isola tornò ai frati francescani. Oggi è possibile visitarla chiedendo un passaggio a qualche pescatore delle isole vicine accordandosi sul prezzo. Ma i monaci sono ben rigorosi sulle loro regole, e si aspettano che i visitatori rispettino il silenzio e le loro ore di preghiera.

[In apertura: foto di Irene Grassi]

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