Benvenuti a Shibam, la “Manhattan del deserto”
Uno va in Yemen e si aspetta di trovare villaggi antichi, siti archeologici, vaste distese di montagne e quanto altro si possa associare all'idea di un viaggio in Medio Oriente. Immaginate la sorpresa di un visitatore quando, racchiuso tra due montagne, compare dal nulla nel bel mezzo del deserto una città vecchia di ben 1.700 anni… ma costituita tutto da grattacieli. Un colpo d'occhio spettacolare, che diventa ancora più sorprendente quando si realizza di cosa sono fatti quei palazzi alti oltre 30 metri: fango e terra. Questa è Shibam, città yemenita di 7.000 abitanti che per il suo particolare skyline è stata definita la "Manhattan del deserto".
E in effetti Shibam ha ben poco da invidiare a città come New York o Chicago, in termini di profilo. Certo, i suoi grattacieli sono ben più bassi, ma se li stagliamo contro il panorama desertico che li circondano l'effetto da cartolina è assicurato. Per la precisione, Shibam si trova nel deserto di Ramlat al-Sab`atayn, nella regione di Hadhramaut. Il wadi, ovvero la valle fluviale, in cui si trova è circondato da due montagne che la isolano rispetto alle città vicine (i centri più prossimi sono Seiyun e Tarim, entrambi a oriente). La sua architettura racchiude in se i canoni rigorosi dell'urbanistica del mondo arabo e questo, assieme ad altri criteri, hanno fatto di Shibam un candidato ideale per ottenere il titolo di Patrimonio dell'Umanità Unesco.
Foto di Raphaël Fauveau
Sappiamo che Shibam esiste almeno dal III secolo, e non è stata una città qualunque: essa era la capitale del regno di Hadhramaut, che oggi dà il nome alla regione yemenita. Shibam era una tappa importante sulla via delle spezie e del franchincenso che univa Asia, Africa ed Europa. Il suo sviluppo riflette questo prestigio economico. Le alte torri non sono messe lì a caso: furono erette nel XVI secolo per preservare la città dagli attacchi dei beduini. La città inoltre è costruita su una collina al di sopra del wadi, e fu fondata sui resti del precedente stanziamento distrutto a causa di un'inondazione. La nuova collocazione strategica l'ha protetta per secoli, fino a una nuova inondazione nel 2008, che ha causato molte vittime e distrutto vari edifici.
Uno dei criteri per cui l'Unesco ha dichiarato Shibam un Patrimonio dell'Umanità è proprio il suo rischio di "estinzione". Non occorre per forza la furia devastatrice dell'acqua per far crollare gli edifici. L'intera città deve essere sottoposta a una manutenzione costante per far sì che i suoi palazzi restino in piedi: il fango essiccato deve essere costantemente apposto strato su strato perché le mura siano stabili e non crollino. Questo genere di costruzione in terra non è certo unico nel suo genere, anche quando si tratta di edifici di un certo rilievo: basti pensare che nella vicina città di Tarim la moschea di Al Muhdhar ha un minareto alto 53 metri tutto realizzato in terra.
Foto di Jialiang Gao
A Shibam entrano in gioco una serie di elementi che la rendono un modello di città araba meritevole di essere salvaguardato. La sua griglia trapezoidale su cui si intersecano le strette stradine e le piazze è tipica del mondo mediorientale. Ma il modo in cui si sono sviluppate le abitazioni riflette essenzialmente il periodo di prospetità dell'Hadhramaut. I numerosi palazzi erano infatti costruiti da famiglie potenti che, rivali tra di loro, facevano mostra del proprio prestigio e ceto sociale, oltre che del potere economico. Alcuni palazzi raggiungono anche gli 11 piani di altezza: un particolare impressionante, se non ci si dimentica del materiale di cui sono fatti. Ecco perché Shibam viene comunemente definita anche la "città con i grattacieli più vecchi del mondo".
La vita a Shibam scorre molto tranquilla. La città ha dimenticato i tempi in cui era un florido porto di mercanti. Oggi l'economia si basa per di più sulla pastorizia. L'abbandono dell'agricoltura basata sulla gestione delle piene del wadi ha cambiato radicalmente le abitudini della città. L'acqua oggi viene fornita con sistemi tradizionali, ma gli impianti idraulici sono del tutto inadeguati alle vecchie strutture, e questo ha contribuito alla decadenza della città.
Gli alti palazzi non presentano finestre ai piani terreni, che vengono utilizzati come magazzini per le granaglie. Il primo piano degli edifici viene utilizzato dagli uomini, mentre le donne occupano i piani superiori. Gli interni degli androni principali dove le persone si incontrano e socializzano sono spesso finemente decorati. I piani più alti sono dedicati alle famiglie che vivono insieme. Molti edifici sono collegati in cima da ponti e passerelle: si trattava di un antico sistema difensivo per mettere in comunicazione le varie torri di guardia, ma oggi vengono utilizzati dagli anziani per passare da un palazzo all'altro, piuttosto che salire e scendere interminabili rampe di scale.
Foto di Aneta Ribarska
Shibam non si può certo definire una città turistica, tanto è vero che non c'è neanche un ristorante o posti dove dormire. All'ingresso del paese però vi è una piazza con un caffè, dove viene servito il tè e i locali si incontrano per fumare narghilè e giocare a domino. Nonostante tutto vi sono comunque dei negozietti che vendono un tipo di artigianato locale che non si può trovare da nessun'altra parte in Yemen. Si tratta di chiavi a forma di spazzola, le cui punte fanno da inserto per i lucchetti a loro legati. Gli artigiani sanno che il loro lavoro ha un certo appeal sui visitatori della città, tant'è che realizzano i loro lavori dandogli un aspetto di vecchio per farli passare come delle antichità. E, a differenza di altre città del paese, qui non si mercanteggia sull'acquisto.
A Shibam è possibile anche visitare strutture che sono ben più vecchie dei grattacieli, e che risalgono al primo periodo islamico: un vecchio castello è stato costruito nel 1220, mentre la Moschea del Venerdì risale addirittura al 904. Per il resto girare per Shibam significa perdersi per le strette stradine formate dagli alti palazzi, e un complesso di 500 edifici che comprende anche varie moschee e due antichi palazzi di sultani. E la materia prima è sempre la stessa: fango essiccato.
[In apertura: foto di Jaliang Gao]