Il percorso arabo-normanno in Sicilia candidato all’Unesco
La Sicilia propone la sua eredità arabo-normanna all’attenzione dell’Unesco. La Regione ha infatti candidato quei siti che rappresentano un prezioso esempio dell’architettura arabo-normanna per la lista dei Beni Patrimonio dell’Umanità. I siti sono dieci in tutto. Otto sono a Palermo, e per la precisione: il Palazzo Reale o dei Normanni, la Cappella Palatina, la chiesa di San Giovanni degli Eremiti, la chiesa di Santa Maria dell'Ammiraglio, la chiesa di San Cataldo, il palazzo della Zisa, la Cattedrale di Palermo, il palazzo della Cuba. A questi si aggiungono il duomo e il chiostro di Monreale e il duomo e il chiostro di Cefalù.
Il centro storico di Palermo è già in lista per l’ammissione da quindici anni, ma ciò risulta molto difficile, data la concorrenza con altri cinquanta siti in Italia. Ecco perché si è deciso di inserire questa preziosa testimonianza della convivenza in una sola terra di più culture che, pur se distanti e in passato in lotta tra loro, hanno saputo dare il loro contributo artistico. Queste architetture rappresentano tre eredità, la romana, l’islamica e la bizantina. La Sicilia rappresenta un ideale ponte di connessione tra l’Africa e l’Europa.
La presenza dei Patrimoni Mondiali aumenta i flussi turistici della zona del 20-30%. Adesso è in atto il piano di gestione, ovvero il processo con cui si rendono i siti patrimonio accessibili al pubblico. Il piano è fondamentale per l’ammissione alla lista: bisogna fare in modo che le infrastrutture permettano a chiunque di raggiungere i luoghi di interesse, e ospitare tutte le tipologie di turisti, da quelli che possono permettersi l’albergo a cinque stelle ai meno benestanti (come i giovani). Il piano sarà coordinato da un comitato costituito da Regione, autonomie locali e istituzioni economiche promotrici, nonché un comitato scientifico per supportare la candidatura: saranno partecipi esponenti della cultura, delle università e delle imprese. Su tutti vigilerà un piano di garanti per monitorare il piano di gestione.
Giuseppe A. D’Angelo