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Tra natura e storia, il Parco Nazionale Gran Paradiso

Una storia in cui la natura e l’opera dell’uomo si intrecciano: la nascita del Parco Nazionale Gran Paradiso segna un cammino di successo per tutti, sia per lo stambecco, un tempo destinato all’estinzione, sia per l’uomo, attivo nel mantenere la biodiversità e la bellezza del paesaggio alpino.
A cura di Ciaopeople Studios
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È una storia lunga quasi duecento anni quella che vede protagonista uno dei massicci montuosi più alti delle Alpi con i suoi 4061 metri di altitudine. Il Gran Paradiso si erge tra la Valle dell'Orco in Piemonte e le valli della Dora Baltea in Valle d'Aosta e custodisce un vero paesaggio alpino che comprende molti ghiacciai, cascate, laghetti e cime da raggiungere. Il caso – o forse il destino – ha fatto sì che questa grande montagna e le valli attorno diventassero parte di una storia che intreccia l'attività dell'uomo e la vita naturale di un animale: lo stambecco.

Una storia che inizia nell'Ottocento

Agli inizi dell'Ottocento lo stambecco era stato dato per estinto in tutta Europa: la caccia scellerata e indiscriminata sembrava aver abbattuto tutti gli esemplari esistenti. Il destino di questo animale sembrava già segnato, ma a sorpresa si scoprì che uno sparuto gruppo di circa cento esemplari viveva in colonia proprio alle pendici del Gran Paradiso. Fu Carlo Felice, re di Sardegna, a porre per primo un freno alla caccia dello stambecco con il decreto del 1821 che la proibiva. Il sovrano non era mosso da consapevolezza ambientalista, ma dalla volontà di assicurarsi il privilegio della caccia a un animale così raro. Tuttavia gli effetti furono positivi poiché la popolazione di stambecchi si riprese.

La Riserva Reale di Caccia

Nel 1856 Vittorio Emanuele II estese l'area protetta dal divieto di caccia e istituì la Riserva Reale di Caccia: ogni anno il re e i suoi collaboratori si recavano nella riserva per abbattere esemplari maschi e adulti in modo da non interferire con la nascita dei piccoli e l'aumento della colonia di stambecchi. Con la Riserva di Caccia nacquero anche figure specializzate nella protezione degli animali, un corpo di guardie specifico contro il bracconaggio e vennero costruiti sentieri e mulattiere che ancora oggi sono sfruttati dai guardaparco e dagli escursionisti. L'ultima caccia reale avvenne nel 1913 e sei anni più tardi Vittorio Emanuele III decise di cedere allo Stato i territori del Gran Paradiso con l'unica condizione dell'istituzione di un Parco Nazionale a protezione della flora e della fauna. Questo fu un atto veramente rivoluzionario e il 3 dicembre del 1922 nacque il Parco Nazionale Gran Paradiso, il primo parco nazionale italiano.

Il Parco Nazionale Gran Paradiso nel Novecento, tra alti e bassi

Dal 1922 al 1934 la situazione dello stambecco migliorò sensibilmente: la popolazione aumentò in modo considerevole e vennero ripristinati i sentieri e le mulattiere reali dell'Ottocento. La direzione del Parco era affidata a una commissione dotata di autonomia amministrativa che lavorava in sintonia con il territorio. L'unico neo di questi anni, dal punto di vista del Parco, fu l'arretramento dei confini originari per la realizzazione dei grandi impianti idroelettrici della Valle dell'Orco. Dal 1934 la situazione cambiò: la gestione del Parco venne centralizzata e si perse il legame con il territorio. Vennero licenziate le guardie locali, venne assunto personale non del luogo e il bracconaggio ritrovò spazio. A questo si aggiunse la guerra con le sue tragedie: la colonia di stambecchi nel 1945 era composta solo di 416 esemplari.

La rinascita dal dopoguerra

Nel dopoguerra l'uomo che fece la differenza fu Renzo Videsott, Commissario Straordinario, che con impegno e dedizione risollevò le sorti del Parco – e degli stambecchi – fino al decreto De Nicola che nel 1947 affidava a un ente autonomo la gestione dell'area protetta. Un'intuizione che ha permesso al Parco di giungere fino ai giorni nostri, a volte con incomprensioni con le popolazioni delle valli che spesso hanno percepito nell'area protetta un impedimento piuttosto che una risorsa. Oggi è il contrario: il Parco è visto come una vera opportunità economica e turistica. E non potrebbe essere altrimenti.

Piccole e grandi vittorie

Dal 1955, anno dell'inaugurazione del Giardino Botanico Paradisia a Valnontey, sono nate molte strutture turistiche e di educazione ambientale (9 centri visitatori, un Centro di Educazione Ambientale, una Officina di attività ambientali e 2 ecomusei), si è dato vita a un gemellaggio proficuo con il confinante parco francese de la Vanoise, e si continuano a valorizzare i prodotti e le imprese locali come il Progetto Marchio di Qualità Gran Paradiso. Tanti i riconoscimenti ricevuti, tra i quali l'inclusione del Parco del Gran Paradiso nella Green List delle aree protette nel 2014, una certificazione che premia la dedizione del Parco alla protezione dell'ambiente e degli ecosistemi. Molteplici i progetti di ricerca promossi dal Parco, alcuni europei, altri nazionali legati all'ecologia dei laghi alpini, allo studio di camosci, marmotte e stambecchi, al monitoraggio della biodiversità, allo studio dei pascoli e delle foreste. Di certo la produzione scientifica del Parco del Gran Paradiso è uno dei vanti di questo ente, oltre ad aver contribuito a salvare gli stambecchi, e far ritornare a nidificare sulle vette di questo massiccio il gipeto e a camminare tra le foreste il lupo. Se gli stambecchi potessero, ringrazierebbero di questi duecento anni di storia con l'uomo. Questo è possibile anche grazie agli investimenti previsti dal programma delle politiche di coesione dell'Ue.

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